Sa Sartiglia è la giostra equestre medievale più importante e spettacolare della Sardegna che si svolge l’ultima domenica e il martedì di carnevale ad Oristano.
E’ considerato uno dei carnevali più importanti d’Italia, seppur ancora inspiegabilmente poco conosciuto fuori dall’isola.
Il vocabolo Sartiglia o Sartilla (come si diceva un tempo a Oristano) deriverebbe dal castigliano Sortija, che a sua volta ha origine dal latino sorticola, anello, diminutivo di sors, fortuna. Nel significato si coglie il senso della gara che è sì una corsa all’anello, alla stella, ma anche una festa legata alla sorte.
Ogni simbolo, ogni gesto è denso di significato e richiama le antiche tradizioni medievali di questa importante manifestazione, che si svolge in 4 fasi principali.
Il Bando
La figura dell’araldo a cavallo e la lettura del bando risultano oggi i primi atti del giorno della Sartiglia.
Il banditore, scortato da alfieri recanti le insegne della città e accompagnato da tamburini e trombettieri, percorre le strade del centro storico cittadino, raggiunge i borghi più vicini, e, soffermandosi nei principali crocevia, da lettura dell’annuncio dell’imminente corsa, invitando cavalieri e pubblico rispettivamente a correre ed assistere alla corsa.
L’araldo rende note le volontà dell’autorità civica, l’orario d’inizio della gara e i premi riservati ai cavalieri vincitori che, secondo l’antica costumanza, dovranno cimentarsi nelle prove di abilità con la spada e la lancia, si comunica inoltre la disposizione affinché tutti i cavalieri partecipanti siano sottoposti al comando e all’ordine de “su Mastru Cumponidori”, ovvero del capocorsa già nominato.
La Vestizione
I due Gremi, antiche corporazioni delle arti e mestieri, dei Contadini e del Falegnami, scelgono chi, tra tanti aspiranti, vestirà i panni di Su Cumponidori (il capocorsa).
Esso viene quindi sottoposto a un vero e proprio rito sacro, perché deve essere forte, puro e coraggioso, deve diventare un sacerdote della fecondità, la cui purezza è legata, nella vigilia della Sartiglia, alla confessione e alla comunione.
Il cavaliere prescelto sale su un tavolo (sa mesita) vero e proprio altare, posto all’interno della sala, dove abbondano grano e fiori. Da quel momento, Su Cumponidori non può più toccare terra (non podit ponnî pei in terra).
A vestire il Cavaliere ci pensano sas massajeddas, giovani fanciulle in abito sardo, guidate dalla loro maestra, sa massaja manna.
La lunga funzione viene seguita in silenzio da un numero ristretto di persone. I passi salienti sono sottolineati da squilli di tromba, rullare di tamburi e applausi.
Il culmine è il momento in cui viene cucita sul viso la maschera. Da quel momento in poi, sino alla fine della corsa, il Cavaliere diventa un “semidio” sceso tra i mortali per dare loro buona fortuna e mandare via gli spiriti maligni.
Alla fine Su Cumponidori, vestito con in capo un cilindro nero, la mantiglia, una camicia ricca di sbuffi e pizzi, il gilet e il cinturone di pelle, sale sul cavallo che è stato fatto entrare in una sala disposta a religioso silenzio per non innervosire la bestia, gli viene consegnata sa pipia de maju e, completamente sdraiato sul cavallo, esegue sa remada per passare sotto la porta ed uscire all’esterno, dove lo attendono gli altri cavalieri e una folla plaudente che subito inizia a benedire.
La corsa alla stella
Ultimata la vestizione Su Cumponidori, preceduto da un corteo in abito tradizionale sardo, dai membri del gremio e da tamburini e trombettieri, unitamente ai suoi luogotenenti su Segundu Cumponi e su Tertzu Cumponi, si mette alla testa di altri 117 cavalieri mascherati, con cavalli riccamente bardati, e si dirige verso la via Duomo.
Quì, dopo aver benedetto la folla che lo attende, dà il via alla corsa alla stella, lanciandosi al galoppo con la spada tesa nel tentativo di infilzarla.
Il capo corsa concede via via la spada ad altri cavalieri, in segno di fiducia o di sfida nei confronti della loro abilità. Quanti e quali cavalieri avranno l’onore e l’onere di calcare la pista è sua esclusiva decisione.
Una volta soddisfatto del numero di stelle colte per il proprio gremio e per la città, ritorna sul percorso per restituire le spade al gremio.
Con in mano sa pipia de maju, lancerà quindi nuovamente il cavallo al galoppo e, completamente sdraiato su di esso, benedirà la folla con ampi gesti: è sa remada, con la quale dichiara conclusa la corsa alla stella e al termine della quale il corteo si riunisce per spostarsi nella via Mazzini, lungo la quale si corrono le pariglie.
Le pariglie
Uscendo lanciati al galoppo dal portico che si apre all’inizio della Via Mazzini, tutti i cavalieri, ad eccezione delle pariglie dei Cumponidoris (che non possono rischiare di cadere da cavallo compromettendo così la propria sacralità) si esibiscono in spericolate acrobazie in piedi sulla groppa dei propri destrieri, fino a quando le condizioni di luce lo consentono.
È qui che maggiormente vengono evidenziate qualità quali il coraggio, la destrezza e assume primaria importanza la simbiosi uomo-cavallo. La competizione da individuale passa ed essere un gioco di squadra e solo chi, durante il corso dell’anno, è riuscito a sviluppare particolare affiatamento con i propri compagni e con i proprio cavalli, sarà in grado di esibire numeri di grande destrezza e abilità.